Alla fine del Cinquecento, in un’epoca di oscura superstizione, le streghe, le magie, l’Inquisizione e gli amuleti stregati erano l’eco di un mondo remoto, intriso di magia e mistero. Anche in Sardegna, l’ombra della credulità si allungava nei vicoli e nelle piazze, dove la gente credeva nelle streghe e queste donne venivano perseguitate, torturate, inquisite e uccise in nome di un Dio distorto, un Dio che viveva solo nella mente degli uomini.
Julia Carta, nata a Mores ma vissuta gran parte della sua triste esistenza a Siligo, era una di quelle donne ingiustamente accusate, interrogate, inquisite e condannate senza prove. La sua vita, un tempo non diversa da quella di molte altre bambine cresciute nell’indigenza, si era trasformata in un calvario. Aveva imparato l’arte di filare, tessere e cucire. Poi, la nonna, temuta e rispettata come una ‘bruxia’, le aveva trasmesso il sapere segreto delle piante e i loro effetti, insieme a incantesimi arcani che Julia aveva dovuto memorizzare.
Il matrimonio con il contadino Costantino Nivola e il trasferimento a Siligo avevano segnato l’inizio di una nuova vita, dove aveva incontrato Tomasina Sanna, potente guaritrice. Da lei, Julia aveva appreso i metodi per curare il ‘dolor de costato’ e l’arte degli amuleti: le ‘punghe’ che proteggono dai nemici, realizzate raccogliendo in un sacchetto le ceneri di un fazzoletto di lino che conteneva delle monete. E dalle zingare girovaghe aveva imparato ad osservare il fuoco e la lingua delle fiamme.
Era la fine del 1500 quando, a causa di una delazione di una ragazza che riferì al parroco di aver sentito Julia esprimere particolari idee e convinzioni riguardo al sacramento della confessione, Julia finì nel banco degli imputati: arrestata, processata e considerata colpevole di eresia. Dopo atroci torture, fu costretta ad abiurare ed indossare il sambenito, un vestito usato dai cristiani per mostrare a tutti il loro pentimento. Dichiarata eretica formale, apostata della fede e idolatra del demonio, dalle carte non si riuscì a capire quale fu la definitiva condanna, ma alcune fonti affermano che scampò al rogo e venne condannata ad indossare il sambenito per il resto della vita.
Il festival AmmaJare (ammajare, in sardo, significa stregare) nasce con l’intento di occuparsi di chi, negli anni, è stato perseguitato ingiustamente, inquisito, deriso, insultato e dimenticato. La caccia alle streghe, un fenomeno che ha attraversato i secoli, oggi si manifesta nelle lapidazioni virtuali via social di persone che, a volte, hanno espresso solo una propria opinione. Ma non solo. Ci sono quelli “perseguitati dalla giustizia” che, a causa di un incredibile errore giudiziario, sono finiti nella rete del carcere da innocenti.
Il festival, tuttavia, vuole anche analizzare la magia del tempo, di ciò che accade nei piccoli borghi, le loro tradizioni, la loro religiosità mista al loro paganesimo.
A volte siamo stregati da fatti orribili oppure magici, ci affascina l’ignoto, il mondo dei morti, l’inconscio, quello che non conosciamo, i labirinti delle miserie umane.
Con l’Ammajare Festival, vorremmo avvicinarci ad un mondo che sembra sparito, distrutto, coperto dai cocci della storia e che, invece, riappare prepotentemente utilizzando le vesti di una modernità antica.
Ammajare festival intende essere un nuovo luogo dove ritrovare tutti i pezzetti di un puzzle da ricostruire attraverso la cornice dell’esistenza. Vecchie e nuove inquisizioni, nuovi modi di analizzare il sociale attraverso falsi miti e vecchie credenze.